C’era una volta il DAF, il Data Analytics Framework. È stata una delle primissime iniziative messe in campo dall’allora Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale Diego Piacentini e dal neonato Team Digitale. Cosa sarebbe dovuto essere il DAF lo possiamo dedurre da una serie di articoli, video, convegni e conferenze in cui veniva illustrato il progetto sia dal punto di vista tecnologico e sia dal punto di vista strategico.
Qui una serie di riferimenti:
- https://docs.italia.it/italia/daf/daf-dataportal-it-docs/it/bozza/daf/index.html
- https://medium.com/team-per-la-trasformazione-digitale/dati-interoperabili-open-pubblica-amministrazione-data-analytics-framework-4eb53dafd618
- https://www.youtube.com/watch?v=X2Sg-KauY6I
Lo scopo del DAF sarebbe infatti dovuto essere quello di avere una piattaforma Big Data per consentire di mettere insieme dati delle pubbliche amministrazione per generare analisi e visualizzazioni. Il DAF, come descritto nell’articolo dell’allora Chief Data Officer del progetto, sarebbe dovuto essere in altre parole un’accoppiata tra una piattaforma Big Data e due teams, uno di “data scientist” e un altro costituito da esperti di data visualization. I dati della pubblica amministrazione sarebbero dovuti essere acquisiti e canalizzati in un unico framework centrale per garantirne la standardizzazione, l’interconnessione e consentirne così la fruizione attraverso API e dashboard tematiche.
Il DAF aveva però sin dall’inizio un “peccato originale” che di fatto ne ha reso impraticabile la realizzazione. L’architettura proposta avrebbe dovuto acquisire in modalità “batch” o in “real-time” i dati dai gestionali dalle pubbliche amministrazioni, ossia di quei sistemi attraverso cui vengono erogati servizi ai cittadini o alle altre pubbliche amministrazioni, cosa che si è subito rivelata non praticabile. E infatti, sin dallo sviluppo del prototipo è stato evidente come il DAF stava andando nella direzione della standardizzazione, analisi e visualizzazione di dati già pubblicati sui vari portali Open Data e non invece, come sarebbe dovuto invece essere, sull’acquisizione in modo continuativo di flussi di dati dalle PA. Ad ogni modo, un’architettura del genere non avrebbe comunque consentito la condivisione e l’integrazione di quei dati necessari a gestire i servizi della Pubblica Amministrazione, servizi che andavano invece erogati attraverso soluzioni di cooperazione applicativa tra sistemi sw e basi di dati.
Fig. 1 – Architettura del DAF
E infatti il DAF improvvisamente si inabissa e sparisce dalla circolazione, per riapparire dopo diverso tempo nel piano triennale per l’informatica nella pubblica Amministrazione del 2019. E cambia nome. Non più Data Analytics Framework ma PDND, ossia Piattaforma Digitale Nazionale Dati
L’architettura rimane però sostanzialmente la stessa del DAF. Si legge infatti che: “La PDND si basa su una Piattaforma big data, composta da: un data lake, un insieme di data engine e strumenti per la comunicazione dei dati. Nel data lake vengono memorizzati, nel rispetto delle normative in materia di protezione dei dati personali, dati di potenziale interesse quali, ad esempio: le basi di dati che le PA generano per svolgere il proprio mandato istituzionale; i dati generati dai sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni come log e dati di utilizzo che non rientrano nella definizione precedente”. Viene quindi ancora una volta pensata come una piattaforma Big Data dove memorizzare i dati della PA per “favorire e ottimizzare lo scambio dei dati tra PA minimizzandone i costi di transazione per l’accesso e l’utilizzo”, generare Open Data e fare data analytics. Resta sempre il fatto che qualunque interazione con eventuali banche dati della PA nella PDND (sic!) deve essere per forza di cose asincrona, con tutto quello che ne consegue. Tra cui l’impossibilità di utilizzare questi dati per confezionare ad esempio servizi integrati ai cittadini, in quanto qualunque operazione che preveda una scrittura sul Database non potrebbe essere implementata a meno di acrobazie architetturali e improbabili riallineamenti batch con le basi dati originarie. Il progetto originario viene così definitivamente abbandonato. Tutto quello che mestamente resta sono svariati repository abbandonati sulla piattaforma Github. Ad esempio questi
C’è sicuramente molta amarezza per tutte le risorse messe in campo e spese inutilmente senza che questo sia servito ad arrivare a qualcosa di concreto. Ad ogni modo la PDND ri-compare nel decreto semplificazioni del 2020 e subisce all’improvviso una sostanziale metamorfosi https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/09/14/228/so/33/sg/pdf. L’art. 34 della legge 120 dell’11 Settembre 2020 (decreto semplificazioni) è infatti un deciso cambio di rotta. Non più una piattaforma Big Data bensì “[…] un’infrastruttura tecnologica che rende possibile l’interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici per le finalità di cui al comma 1, mediante l’accreditamento, l’identificazione e la gestione dei livelli di autorizzazione dei soggetti abilitati ad operare sulla stessa, nonché la raccolta e conservazione delle informazioni relative agli accessi e alle transazioni effettuate suo tramite. La condivisione di dati e informazioni avviene attraverso la messa a disposizione e l’utilizzo, da parte dei soggetti accreditati, di interfacce di programmazione delle applicazioni (API). Le interfacce, sviluppate dai soggetti abilitati con il supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri e in conformità alle Linee guida AgID in materia interoperabilità, sono raccolte nel “catalogo API” reso disponibile dalla Piattaforma ai soggetti accreditati. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, sono tenuti ad accreditarsi alla piattaforma, a sviluppare le interfacce e a rendere disponibili le proprie basi dati senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”
In altre parole il compito della piattaforma diventa quello di gestire l’accreditamento, l’identificazione e le autorizzazioni in modo da consentire lo scambio di informazioni e servizi tra le diverse piattaforme abilitanti della PA. La “PDND interoperabilità” gestisce inoltre un catalogo di API dei vari enti che erogano dati e servizi, API che potranno così essere utilizzate per integrare quei dati e quei servizi all’interno di sistemi software di altri enti. Un po’ quello che accade ad esempio con la piattaforma RapidAPI, un marketplace dove vengono pubblicate API che possono essere utilizzate (gratuitamente o a pagamento) all’interno di applicativi di soggetti terzi.
Ad ogni modo è un’architettura molto diversa dalla precedente, finalizzata essenzialmente a facilitare e gestire la condivisione dati e la connessione tra applicativi di amministrazioni diverse. Qui di seguito le “Linee Guida sull’infrastruttura tecnologica della Piattaforma Digitale Nazionale Dati per l’interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati” messe proprio di recente in consultazione pubblica, purtroppo con scarsa partecipazione.
Ma quanti sono stati gli investimenti fatti sulla piattaforma? Da una richiesta di accesso agli atti fatta al Dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri da uno dei nostri soci storici è risultato che:
“Per lo sviluppo della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (ex DAF) è stato sottoscritto, in data 24 ottobre 2018, dall’allora Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale […] un contratto con la Società PagoPA SpA avente ad oggetto, tra le varie attività ricomprese nel medesimo, lo sviluppo e l’implementazione della predetta Piattaforma. Nell’ambito di tale contratto, la quota parte delle risorse complessivamente prevista destinata alla PDND ammontava ad euro 2.049.180,33 oltre IVA, con una durata fissata al 31 dicembre 2020”. A cui sono stati aggiunti “ulteriori finanziamenti per circa 2.500.000,00 euro a valere sulle risorse stanziate, per l’anno 2021, sul “Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione” (art. 239 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34)”.
Non dimentichiamo infine che “il progetto beneficerà di ulteriori risorse nell’ambito dell’investimento M1C1 “digitalizzazione, innovazione e sicurezza nelle”, investimento 1.3, previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), definitivamente approvato dall’UE in data 13 luglio 2021”. L’inserimento del progetto nel PNRR diventa così un passo fondamentale per finanziare non solo lo sviluppo della PDND da parte di PagoPA (soggetto titolare dello sviluppo della piattaforma) ma di consentire alle singole PA di effettuare quegli interventi finalizzati ad implementare standard condivisi e realizzare le API necessarie ad aprire i propri sistemi all’interoperabilità. Sarà una bella sfida ma crediamo che finalmente si sia trovata la strada giusta.