Secondo i dati della Banca Mondiale la spesa per appalti pubblici, ossia i contratti stipulati tra pubblica amministrazione e aziende private per la fornitura di lavori o servizi, rappresentano 12% del prodotto interno lordo globale. I calcoli dell’OCSE mostrano variazioni significative tra i diversi paesi: il governo messicano ad esempio spendeva nel 2017 il 4,9% del suo PIL in appalti pubblici, mentre all’opposto i Paesi Bassi avevano quasi un quinto del PIL (19,5%) impiegato in appalti.

Il governo italiano spende il 10,4% del PIL nazionale, pari al 21,4% della spesa pubblica nazionale, in appalti pubblici. Si tratta di una cifra che si aggira sui 160 miliardi di €: un giro d’affari considerevole, potenzialmente a rischio di fenomeni corruttivi legati a logiche di scambio e di profitto tra amministrazioni compiacenti e aziende private.

La corruzione negli appalti: un fenomeno diffuso su scala nazionale

In un rapporto dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione (ANAC), relativo a episodi di corruzione sul territorio nazionale negli anni 2016-2019, emerge un quadro di corruzione diffusa che coinvolge le amministrazioni di quasi tutte le regioni (ad eccezione del Molise e del Friuli Venezia-Giulia): 117 ordinanze di custodia cautelare (un arresto ogni 10 giorni), 152 provvedimenti della magistratura (uno a settimana). La contrattualistica pubblica ha interessato il 74% delle vicende, a testimonianza di come il settore degli appalti rappresenti una porta d’ingresso invitante alla corruzione.

Le differenze tra le varie pubbliche amministrazioni

I dati di AppaltiPOP, per ora disponibili solo su 37 pubbliche amministrazioni e riferiti all’anno di bilancio 2019, aiutano a farci un’idea più chiara delle dimensioni degli appalti, delle loro procedure e dei diversi livelli di rischio associati. I dati comprendono i primi comuni italiani per popolazione, con l’aggiunta del comune di San Giuseppe Jato nel palermitano come esempio di piccolo comune.

Il decreto legge 190/2012 (noto anche come legge Severino) obbliga le PA a pubblicare sul proprio sito istituzionale i dati essenziali relativi agli appalti, per poi trasmetterli a fine anno all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Appare subito evidente la differenza nel numero assoluto di appalti comunicati dai diversi comuni, soprattutto considerata la dimensione e l’importanza di alcuni. Nel grafico in figura abbiamo messo il numero di appalti in relazione alla popolazione del comune, e possiamo notare come una serie di comuni con una popolazione vicina o superiore ai 100.000 abitanti abbia comunicato un numero di appalti inferiore al piccolo comune di San Giuseppe Jato, che conta solo 8653 abitanti. Emblematico è il caso del comune di Torino, una città sicuramente importante per peso economico nazionale, che ha comunicato solamente 169 appalti. 

Dobbiamo tenere presente che i dati comunicati dai comuni potrebbero essere incompleti o sporchi, perché le diverse PA li hanno comunicati (oppure no) in questa maniera all’ANAC. Nonostante l’incompletezza rimane comunque un indicatore importante per valutare il grado di trasparenza di una PA sulla base della qualità dei dati che comunica.

Le red flag: un campanello d’allarme

Un’integrazione importante a questi dati AppaltiPOP la fa aggiungendo le cosiddette red flag, ossia specifici indicatori di monitoraggio, in grado di segnalare appalti con caratteristiche da bandiera rossa, come una bassa percentuale di offerte, un basso numero di offerenti o un singolo offerente alla sua prima gara, o dati mancanti come ad esempio l’aggiudicatario (che spesso rimane sconosciuto).

Se a un appalto vengono assegnate una o più bandiere rossa non dobbiamo pensare automaticamente che quell’appalto presenti delle irregolarità. Gli indicatori predittivi di rischi di corruzione come quelli della selezione dei contraenti (come il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e le procedure negoziate) sono tradizionalmente utilizzati per monitorare quanta trasparenza e quanta competizione vi sono in un appalto, e devono essere considerati alla stregua di “campanelli d’allarme”.

La situazione italiana monitorata da AppaltiPOP presenta un alto numero di appalti con red flag, oltre il 40% sul territorio nazionale. Non tutti i comuni italiani hanno una percentuale in linea con il dato nazionale: il comune di Palermo ha il 75% di appalti con la presenza di una o più red flag, mentre Andria e Bologna hanno meno del 15%.

Non tutti gli appalti sono però uguali, e lo stesso vale per le red flag

Le bandiere rosse sulle procedure

Partiamo con il dire che una grande parte degli appalti monitorati (oltre il 60%) avviene tramite modalità di affidamento diretto, una modalità che prevede, nel caso di importo inferiore a 40.000 € (limite che è stato esteso fino a 150.000 € col Decreto Semplificazioni (Decreto Legge 76/2020), l’affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici. Seguono la procedura senza bando (in cui stazione appaltante aggiudica un contratto pubblico senza la fase preliminare di pubblicazione del bando di gara) e l’affidamento in economia tramite cottimo fiduciario (abrogato con la pubblicazione del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici).

Gli appalti che presentano una sola stella corrispondono alle categorie più utilizzate, tra cui troviamo anche la procedura aperta, dove gli operatori fanno delle proposte giudicate dalla stazione appaltante in base al criterio di aggiudicazione scelto.

Nel caso degli appalti con due red flag, la tipologia di appalto più presente è quella della procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando.

Le cose iniziano a farsi interessanti quando consideriamo tre o più red flag. Le tipologie di appalto cambiano radicalmente, lasciando posto a modalità nuove: entra infatti in gioco il Sistema Dinamico di Acquisizione (SDAPA), uno strumento di negoziazione elettronico attraverso cui le stazioni appaltanti acquistano beni e servizi sul mercato.

Le quattro red flag sono molto simili alle tipologie da tre red flag, ma il vertice della classifica è occupato dal confronto competitivo in adesione a un accordo quadro o a una convenzione. Un accordo quadro è un “accordo concluso da una o più stazioni appaltanti con uno o più operatori economici per stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un determinato periodo, individuando in particolare prezzi ed eventuali quantità relative alla prestazione”. Il confronto competitivo avviene qualora i documenti di gara non contengano tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori.

Nota metodologica: gli appalti censiti in questo articolo sono quelli attualmente presenti su AppaltiPOP (dicembre 2020). Si tratta degli appalti trasmessi dalle singole pubbliche amministrazioni all’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) il 31 gennaio 2020, in ottemperanza alla comunicazione obbligatoria prevista dalla Legge Severino (190/2012). Le pubbliche amministrazioni censite sono 37 e si tratta dei comuni con oltre 100.000 abitanti (cui si aggiunge il comune di San Giuseppe Jato (PA). Le 5 red flag utilizzate per classificare gli appalti sono: Basso numero di offerenti, Bassa percentuale di offerte, Singolo offerente, Prima gara vinta, Aggiudicatari sconosciuti. L’assegnazione di una red flag a un appalto avviene in maniera automatizzata, sulla base dell’analisi dei dati ad esso associati. I livelli di accuratezza e qualità dei dati dipendono dalle singole pubbliche amministrazioni che li hanno comunicati ad ANAC. All’interno di AppaltiPOP ci limitiamo a trasformarli in Open Contracting Data Standard, uno standard internazionale utilizzato da molti governi nel mondo che permette di effettuare calcoli, mappare l’intera vita dell’appalto (dalla programmazione al completamento) e rendere i dati degli appalti italiani comparabili con quelli di altri Paesi del mondo. L’adozione di Open Contracting Data Standard è prevista dal Quarto Piano d’Azione per l’Open Government come iniziativa che il Governo Italiano si è impegnato ad adottare entro giugno 2021.

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