In questi anni ho bazzicato molte community data driven (incentrate cioè sulla discussione e sull’uso dei dati), e ho incontrato molti statactivists (figura di cui accenno qui). Ma non nascondo una certa difficoltà a comprendere e generalizzare alcune dinamiche. Così trovo davvero interessante il Decalogo delle community data driven che ho letto in WebCOSI, un gran bel report su casi italiani e non di questo tipo di gruppi. Lo riassumo rapidamente per punti, per schematizzarlo anche nella mia testa.
- L’obiettivo è il benessere per tutti – Cosa forse ovvia per chi conosce le community, ma non credo del tutto a chi vi partecipa. Contribuire a una comunità significa decidere cosa fare e cosa non fare tenendo ben presente questo obiettivo.
- La strada è il progesso della società e l’innovazione – Le community possono avere ruoli sociali e spiccatamente se sono Data Driven. La diffusione di dati e competenze richiede apprendimento dei singoli e progressi tecnologici e di metodo da parte di chi detiene i dati.
- I dati sono il compasso (per tracciare la strada) – Come percorrere la strada per il progresso della società e l’innovazione? Il percorso viene tracciato da dati, dal loro uso e dalle informazioni che da essi si possono estrarre.
- Risolvere i problemi: questo è il metodo – Come fare a scegliere i dati sui quali lavorare e perché? La risposta è: cercare di capire se lavorare su quei dati può risolvere un problema, e quale.
- Il Mantra è “Rendilo pubblico” – Se la democrazia è «L’esercizio in pubblico del potere pubblico» (Norberto Bobbio), chiedere e fare trasparenza sulla cosa pubblica è il modo migliore per sostenere la democrazia.
- Il pilastro è la partecipazione di persone competenti – Stimolare chi partecipa ad acquisire nuove competenze sui dati, in modo che le possa usare in base ai propri scopi.
- La strategia è: protesta e proposta – È un cliché vecchio ma è praticato anche qui. Ad esempio, se ci si rivolge a un’istituzione si dice spesso: «Non funziona questa cosa che fai, ecco come puoi sistemarla». In questo si annida anche una possibile sovrapposizione col business (Dove finisce l’attivista e comincia il consulente-imprenditore?).
- Fare rete è il concetto chiave – Le comunità ne beneficiano sia perché aumenta la competenza sui temi trattati se i contributi vengono da competenze personali diverse, sia perché il networking abilita la costruzione di referenze che rendono la comunità più o meno impattante, in base a chi ne afferma la competenza/credibilità e come lo fa (più sei credibile più sei competente, più sei competente più sei credibile).
- Le competenze tecnologiche sono un stimolo (e un obiettivo) – Acquisire competenze ICT e usarle per facilitare gli obiettivi della comunità sono cruciali. Non è fondamentale che tutti imparino a scrivere il codice ma è cruciale che ciascuno di noi sappia quali sono le cose che si possono fare con il codice (e sarebbe impossibile in certi casi farle senza codice).
- Il valore aggiunto è il Community Building – In quanto partecipano? Che competenze hanno? Chi guarda da fuori una community si pone domande del genere. Alle quali la community risponde con un invito a partecipare, magari offrendo il proprio supporto per risolvere un problema.
Gli obiettivi
Interessanti in WebCOSI anche gli obiettivi elencati (forse un po’ incompleti). Eccoli rapidamente:
- Ridurre il gap digitale – E favorire la crescita di competenze digitali il più possibile.
- I cittadini contano – Sia perché hanno un nuovo spazio per avere voce in capitolo, sia perché partecipano al processo di estrazione di informazioni dai dati e imparano.